La difformità catastale può giustificare il recesso dal contratto preliminare?

4 Luglio 2025
La difformità catastale può giustificare il recesso dal contratto preliminare?
In una recente sentenza, la Cassazione ha chiarito quanto conta la difformità catastale nel preliminare di compravendita. Il caso.

La Cassazione ha chiarito un punto importante nei contratti immobiliariquanto conta la difformità catastale nel preliminare di compravendita. Annullando la decisione della Corte d’appello di Milano, la Cassazione ha ribadito principi chiave su buona fede, obbligo di aggiornare i dati catastali e gravità dell’inadempimento.

Difformità catastale: un vizio non solo formale

Nel caso in esame, la promissaria acquirente di un immobile destinato a deposito aveva esercitato il recesso dal contratto preliminare, lamentando l’assenza dell’aggiornamento catastale per la presenza di un bagno interno non rappresentato in planimetria. Detta irregolarità, infatti, aveva compromesso la possibilità di accedere a un finanziamento mediante leasing.

La Corte d’appello aveva respinto la domanda della società, ritenendo che l’irregolarità fosse di scarsa importanza, sanabile con una procedura amministrativa semplice e poco onerosa. Tuttavia, la Cassazione ha ribaltato tale impostazione, affermando che: “la regolarizzazione catastale costituisce un obbligo essenziale in vista della stipulazione del contratto definitivo di compravendita, dal momento che l’art. 29, comma 1-bis, della legge n. 52/1985 impone, a pena di nullità, la dichiarazione di conformità catastale.

L’obbligo di regolarizzazione non è un atto meramente accessorio

La Suprema Corte, con la sentenza n. 13959 del 26 maggio 2025, precisa che l’obbligo del venditore di provvedere all’aggiornamento della planimetria catastale non può essere considerato un adempimento di secondo piano. La sua tempestività e correttezza formale e sostanziale è decisiva, poiché la mancata conformità tra lo stato di fatto dell’immobile e i dati catastali impedisce la stipula del rogito, con effetti paralizzanti sull’intero rapporto contrattuale.

La Corte ha evidenziato che la semplice esibizione del documento di aggiornamento da parte del promittente venditore in udienza, senza che fosse stato prodotto nel rispetto delle regole processuali, non costituisce prova dell’adempimento e non può sanare l’inerzia che ha compromesso il buon esito del contratto.

Art. 1455 c.c. e gravità dell’inadempimento

Fondamentale nella decisione degli Ermellini è il richiamo all’art. 1455 c.c., secondo cui la risoluzione del contratto è ammessa solo in presenza di un inadempimento non di scarsa importanza. La Cassazione ha chiarito che tale valutazione non può prescindere da:

  • l’interesse concreto dell’altra parte al corretto e tempestivo adempimento;
  • la funzione dell’obbligo inadempiuto nel sinallagma contrattuale;
  • il pregiudizio subito dalla parte inadempiente, come nel caso dell’impossibilità di accedere al finanziamento.

Nel caso concreto, la mancata regolarizzazione catastale ha precluso l’accesso al leasing, ponendo un ostacolo oggettivo e definitivo alla realizzazione dell’interesse della promissaria acquirente.

La buona fede come criterio guida: art. 1375 c.c.

Altro aspetto di grande rilievo nella sentenza è il richiamo all’art. 1375 c.c., che impone l’obbligo di eseguire il contratto secondo buona fede. Tale dovere si sostanzia in comportamenti leali, cooperativi e tempestivi. Nel contesto di un contratto preliminare, esso si traduce nella necessità per il venditore di:

  • attivarsi prontamente per la regolarizzazione catastale;
  • rispondere ai solleciti della controparte;
  • non ostacolare l’ottenimento di un finanziamento da parte dell’acquirente.

La Corte ha stigmatizzato l’inerzia del promittente venditore, ritenendola incompatibile con i principi di correttezza, in quanto lesiva dell’aspettativa legittima della controparte di poter stipulare il contratto definitivo nei tempi e modi pattuiti.

Conseguenze pratiche: recesso, risoluzione, risarcimento

Alla luce della sentenza, la difformità catastale non regolarizzata può giustificare:

  • il recesso ex art. 1385 c.c., se è stata versata caparra confirmatoria;
  • la risoluzione ex art. 1453 c.c., in caso di inadempimento grave;
  • il risarcimento dei danni, inclusi quelli derivanti dalla perdita del finanziamento o da altri costi sostenuti in vista della stipula del definitivo.

Conclusioni

La sentenza n.13959/2025 rappresenta un riferimento autorevole e attuale per la pratica immobiliare e per gli operatori del diritto. La difformità catastale assume rilevanza giuridica sostanziale anche nella fase del contratto preliminare, in quanto incide sulla realizzabilità del rogito e sul soddisfacimento dell’interesse dell’acquirente. La Corte riafferma il principio secondo cui la buona fede non è un valore astratto, ma un criterio operativo che permea tutte le fasi del rapporto contrattuale, imponendo comportamenti proattivi e rispettosi degli interessi altrui.

In definitiva, il promittente venditore che non adempie tempestivamente all’obbligo di regolarizzazione catastale non può invocare la scarsa entità dell’inadempimento, né può considerare tale adempimento come posticipabile. Quando tale condotta compromette la conclusione del definitivo, l’acquirente ha diritto di recedere e di ottenere tutela piena, anche risarcitoria.


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